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Grotteria: storia di una irreversibile agonia (06.10.2008)

 

Alcuni giorni fa io e mio cugino Furio Pellicano Barletta abbiamo compiuto una escursione di carattere storico nelle campagne di San Giovanni di Gerace, un tempo ridente casale della baronia di Grotteria, oggi comune omonimo della Vallata del Torbido in Calabria. Nel corso di tale escursione abbiamo avuto l'opportunità di visionare la località denominata Cambruso, amena collina che si affaccia sulla sponda sinistra del fiume Caturello all'altezza dell'abitato di Grotteria, l'antico capoluogo della baronia, poi contea omonima.
        Da tale località si può godere un panorama straordinario, oserei dire mozzafiato, di questa antica città, assai fiorente nell'età medievale ma oggi talmente decaduta al punto da risultare quasi irriconoscibile. Avevo già visto Grotteria da Cambruso fin dal 1993, ma evidentemente non avevo avuto l'opportunità di coglierne in pieno la bellezza e la suggestività. Ho scattato alcune foto le quali, sebbene non possano comunque rendere giustizia alla bellezza del panorama, consentono almeno a colui che le osserva di farsi un'idea dell'aspetto di questo antico centro, in cui di fatto tutto è centro storico, non esistendo quasi del tutto una vera e propria area di espansione contemporanea.

 

Mi chiedo come è potuto accadere che una così antica, potente e ricca città si sia ridotta allo stato di abbandono e di degrado che ne caratterizza il presente. A ben riflettere l’inizio del declino va collocato almeno alla metà del ‘500 e va messo in stretta relazione con le tragiche vicende personali di uno dei suoi feudatari, il marchese di Castelvetere Giovanni Battista Carafa (1526-1552). Egli, dopo essersi indebitato per aver sostenuto con propri capitali le imprese militari di Carlo V fu “ricompensato” dal sovrano con la decapitazione in seguito alla denuncia di presunti abusi perpetrati ai danni degli abitanti di Castelvetere. A causa dei debiti del Carafa nel 1558, la contea di Grotteria veniva smembrata su istanza dei numerosi creditori del marchese. Grotteria fu messa all’asta e acquistata da uno dei principali creditori del Carafa, il patrizio napoletano Marco Antonio Loffredo. Quando quest’ultimo giunse in città per prenderne possesso, non ci volle molto per capire le sue reali intenzioni che non erano proprio quelle di bene amministrare il feudo ma di divorarne al più presto le risorse, solo al fine di recuperare i capitali anticipati. Fu così che a causa dell’aumento della pressione fiscale Grotteria incominciò a spopolare: gli abitanti fuggivano, chi nei centri vicini, chi in Sicilia, chi a Napoli. Neppure il riacquisto del feudo da parte dei Carafa durante la prima metà del Seicento ed un miglioramento dell’economia interna avrebbe invertito quella tendenza all’abbandono.
        Oggi il centro di Grotteria è abitato da qualche centinaio di persone; le scuole stanno per chiudere, i quotidiani non arrivano più ed i Carabinieri se ne sono andati da tempo. Il futuro di questo antichissimo e nobile paese, più che agli stessi grotteresi, sembra stare a cuore soltanto a quegli studiosi che ne conoscono e ne ammirano i trascorsi; costoro, ironia della sorte, sono figli di quei centri che Grotteria percepì sempre come fra i suoi peggiori rivali: Gioiosa prima fra tutte, poi Siderno, Mammola ed altri.
        A ben riflettere, però, oggi i peggiori nemici di Grotteria appaiono proprio gli stessi grotteresi, quelli che l’hanno abbandonata al suo destino, illudendosi di trovare la propria realizzazione in una delle squallide e anonime “marine” della zona, ed i pochi superstiti del centro abitato, ormai incoscienti e ignari (salvo qualche eccezione) della propria storia e come vandali pronti a deturpare quel po’ di antica bellezza superstite.
        Cosa si può fare per Grotteria? Nulla credo, oramai. I centri abitati, come gli esseri viventi e gli astri, nascono, crescono e prima o poi muoiono, secondo le leggi divine e di natura. Nell’ammirare il tramonto di un’antica stella, non ci resta che volgere gli occhi alla sua luce passata, assumendo l’impegno di conservare, per le generazioni a venire, la memoria del suo antico splendore.

 

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